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UNO ZOO MESSO A NUDO
di Maurizio Sciaccaluga
Avendo abbandonato le immagini esplicite di scambisti per approdare a una figurazione allegorica (e paradossalmente mitologica) di personaggi-
Gettati in pasto agli spettatori si vedono una Loren volgare e popolana nel suo sorriso sguaiato, una Monroe perennemente sola, un Gagarin che continua a domandarsi chi glielo abbia fatto fare mentre pare assalito da una gigantesca paura che lo divora dall’interno. Mao non è il padre di una grande patria, ma un uomo che agisce senza aver davvero compreso il problema che sta andando ad affrontare. Con questa serie di lavori dedicati alla storia della seconda metà del Novecento la Nahmad si inserisce in un filone che ha già avuto grandi interpreti nella pittura italiana, ma il suo intento è profondamente diverso da quello di chiunque altro. La sua è un’agiografia al contrario, una rappresentazione che mira ad evidenziare le incertezze invece che le imprese, le titubanze piuttosto che le sicurezze granitiche. E’ una figurazione che non mostra il fascino erotico del personaggio o l’ambiguità accattivante della situazione; opta per il disvelamento totale e pornografico della figura, per la sua messa in scena senza rete e senza protezione. Coerentemente con quanto fatto fino ad oggi, appunto.
YESTERDAY NOW
di Marina Pizziolo
Ci sono date capaci di ergersi nel tempo come bastioni di una fortezza imprendibile. Tanto da gettare sulla sequela dei giorni, passati e a venire, due lunghe ombre entro le quali tutto quello che è stato o che sarà diventa un prima o un dopo. Gli anni sessanta sono uno di questi bastioni. L'uomo per la prima volta nello spazio. Gli studenti sulle barricate, a combattere una lotta iniziata per amore e finita nel sangue. Pop star in lotta per la pace. Un ragazzo con il basco ucciso per un ideale troppo grande. Marilyn che decide di non invecchiare mai, raggelando la sua bellezza nella solitudine disperata di una stanza. L'assassinio di un presidente, in diretta, con quei brandelli esplosi, tragiche farfalle che Jacqueline cerca inutilmente di prendere al volo. Mentre si consuma negli scatoloni enormi delle televisioni, che in quegli anni stanno entrando in tutte le case, l'epopea del Vietnam. La prima guerra-
Yesterday now, ieri ora. Un viaggio nel tempo, lontano però dal registro di una sterile nostalgia. Perché le immagini di Barbara Nahmad appartengono a un passato, ma prossimo. I volti dei protagonisti della storia sociale, culturale, politica dei favolosi anni sessanta sono proposti in un'epica galleria di ritratti. Da Marilyn Monroe a John F. Kennedy, da Che Guevara a Martin Luther King, da Mick Jagger a John Lennon: star, eroi o martiri, tutte icone di un tempo che ha saputo infrangere barriere erette da sempre come argini invalicabili del pensiero e del modo di vivere di tutti noi.
Come fare il ritratto di un'epoca? Barbara Nahmad non dipinge gli eventi. Se il voyeurismo televisivo ci ha ormai abituati a seguire in diretta il farsi della storia, anche di quella minuta, dal crollo delle Twin Towers alla riappacificazione tra amanti qualsiasi, il senso di questi grandi ritratti è quello di riportare l'uomo a epicentro del tempo. L'operazione di Nahmad è un sapiente cambio di visuale: dall'evento agli occhi di chi di quell'evento è stato potente testimone. Ecco allora gli occhi di Gagarin sgranati nel buio della notte infinita che a lui, primo tra gli uomini, era dato di attraversare. Ecco lo sguardo celato di Pier Paolo Pasolini, chiuso nel suo tormento interiore. Ecco la tranquillità olimpica di Mao, sicuro del suo miraggio politico. O la Satisfaction di Mick Jagger, all'inizio di un viaggio che è stato quello di intere generazioni di giovani.
Nei dipinti di Barbara Nahmad i corpi sono negati. Il viso è la cifra dell'identità. E una lente impietosa ingrandisce a dismisura labbra occhi nasi alla ricerca del segreto di quell'identità. Che si propone ammiccante o sorpresa, spaventata o arrogante, sempre nella solitudine di uno spazio cancellato dal colore. Il grande formato rende questi volti quasi gli ideali frammenti di giganteschi manifesti, strappati da una mano irriverente per comporre un mosaico che è quello di un'epoca che è stata il lievito mentale della nostra.
"Perché realizzare un'opera quando è così bello sognarla soltanto?", si domandava Pasolini. Aveva ragione. Fortunatamente però c'è chi le opere le realizza proprio per aiutarci a non dimenticare i sogni. Come quelli di un'epoca che, tra mille errori, ebbe il coraggio di sognare l'immaginazione al potere, scoprì l'amore libero e inventò uomini e donne che sono ancora oggi i simboli di un mito possibile.