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F.P. B.N. 2001
di Luca Beatrice
Il mondo dell'arte è organizzato in una moltitudine di comunità e famiglie, e i loro punti di contatto, all'epoca in cui cominciai a esercitare il mestiere di critico, erano, più che i caffè, i luoghi di lavoro, le gallerie, le redazioni delle riviste. Questi piccoli falansteri erano un naturale vivaio di amori occasionali. Abitando in piena Saint-Germain-des-Près, il quartiere in cui ancora si concentravano le gallerie d'arte moderna, mi bastava fare qualche metro per passare da una mostra a un intermezzo scopereccio.
Catherine Millet
La vita sessuale di Catherine M., 2001
Il romanzo-diario, confessione, autobiografia o soltanto cimento narrativo - di Catherine Millet, critico d'arte e direttore della rivista parigina Art Press, mette brillantemente a nudo vizi e virtù dei protagonisti del suo microcosmo attraverso la lente d'ingrandimento della stera sessuale. Parte fondamentale della nostra passione per l'arte, si sa, è legata allo sguardo: l'artista, il critico, il collezionista sono voyeur il cui occhio, allenato da conoscenze e competenze nonché da atteggiamenti piuttosto smaliziati attraverso gli studi di Bataille e di Klossowski, si nutre dell'ossessione . per la cattura di particolari nascosti, di immagini celate, di pulsioni proibite. Ammirare l'arte nei musei o nelle gallerie, dunque, non è cosa troppo dissimile dal frequentare peep show, consultare siti pornografici, eccitarsi davanti al buco della serratura. Da sempre l'arte espone nudità e propone visioni rubate del sesso: sollecitazione del senso e giustificazione culturale del guardonismo. Ciò che appare rilevante nel libro della Millet è la totale assenza dell'elemento erotico a vantaggio della pura e semplice pornografia. Se infatti l'erotismo è ammesso, assunto a modello di comportamento, la pornografia è criminalizzata come un vizio, destinata ad un pubblico incolto di pervertiti, non certo a quello blasé dell'arte. L'erotismo gioca contorcendosi su se stesso, mentre la pornografia non ammette rinvii: come nell'horror, la rappresentazione porno si serve della storia in quanto intervallo-riposo-tra un omicidio e l'altro, una scopata e l'altra. Ulteriore stimolo e modernità di questo romanzo-saggio è l'assoluta mancanza di moralismo, positivo o negativo che sia, legato al sesso. L'io narrante della Millet una macchina al lavoro, che non si usa per rivincita nei confronti del proprio gender o della societa, che non pone confini tra comportamenti giusti o sbagliati, ma semplicemente descrive ciò che fa come se lo stesse osservando dal di fuori. Non so se sia utile legittimare la lettura di questo libro dal punto di vista della sessualità femminile, non sapendo neppure bene di cosa si tratti. Penso invece che sarebbe il soggetto ideale per un film di Tinto Brass, grande narratore per immagini del bel corpo e della joie de vivre legati al sesso oltre qualsiasi morale.
LA FIGURA È VIVA, È DI CARNE, PALPABILE
di Peter Greenaway, The Physical Self, 1992
La pittura di Barbara Nahmad è dominata dal colore della pelle come il libro della Millet è dedicato al trionfo dell'orgasmo. L'identità dei personaggi non è data dalla fisiognomica facciale, dalla sovrastruttura degli abiti e dei comportamenti. Ad essere evidenziato è soprattutto il corpo nudo di ogni età, massa corporea, stato di conservazione. Nahmad rintraccia immagini complici, cioè disposte a farsi guardare per sollecitare un particolare tipo di eccitazione legato non al modello canonico, o più in voga, della bellezza, ma in quanto sorprendente esca della quotidianità più banale. Gli annunci a pagamento sulle riviste specializzate, quanto di più lontano dall'eros patinato e glamour delle soubrette che si spogliano sui calendari, hanno per sfondo ambienti neutri e, soprattutto, nascondono la faccia proprio per non farsi riconoscere da quei pochi che potrebbero essere in grado di farlo. Le videocassette amatoriali sono per Barbara una fonte iconografica illimitata: ci troviamo davanti a sessi senza identita, senza mestiere, che non sono null'altro di ciò che cil mostrano senza pudore. La pittura si concentra su dettagli del tutto anti-erotici, seni cascanti, cuscinetti adiposi, forme non più giovani, in modo da restituire a questi corpi anonimi un tono solenne di classicità. Il lavoro di Barbara Nahmad non ha nulla a che fare né con la cosiddetta nova pittura figurativa di impianto metropolitano, né con la poetica della nuova carne di matrice performantica. Il gusto per un' immagine neutra e insignificante è filtrata da un sapiente uso delle citazioni e dei riferimenti, sempre piuttosto colti, che vanno dalla performance di Jannis Kounellis, Motivo africano (1970) ai disegni erotici di Pierre Klossowski. Almeno due nuovi quadri qui esposti fanno pensare alle fotografie nei campi nudisti di Diane Arbus (1963). Una coppia non più giovane sottopone i propri corpi all'obiettivo della Arbus con naturalezza e tono confidenziale, come se si trattasse di un'amica venuta a far loro visita.
IL CORPO AUTONOMO DELLA PITTURA
dialogo di Alberto Fiz con Barbara Nahmad
Alberto Fiz:
Tu dipingi corpi di donne nude prendendo spunto dal quotidiano. Non a caso parti da quelle riviste pornografiche di serie B dove ad essere raffigurate non sono attrici dell’hard ma persone normali desiderose di fare sesso e di esibirsi, a costo di cadere nel patetico. Non sono corpi atletici o particolarmente attraenti quelli da cui parti, ma si tratta, spesso, della normalità che si sviluppa nel quotidiano. Ecco, questo è un aspetto importante della tua indagine che va subito sottolineato. Non lavori sull’esibizione del sesso patinato, non insisti sugli aspetti più specificatamente morbosi, ma, semmai, agisci sulla normalità, ovvero sulla rappresentazione del corpo femminile cercando di cogliere quel grado di verità che si nasconde dietro le apparenze. Credo, insomma, che ci sia, da parte tua, il desiderio di recuperare una familiarità con il corpo superando ogni interferenza legata al travestimento o alla maschera, elementi che oggi appaiono comuni a gran parte dell’arte contemporanea. Qual è la ragione per cui ti ispiri all’immaginario pornografico?
Barbara Nahmad:
La pornografia di per se stessa non m’interessa. Lo spunto dalle riviste cosiddette trash rappresenta esclusivamente un espediente per avvicinarmi al reale, alla cronaca del sesso, più che alla sua rappresentazione artificiale. Non c’è alcun intendimento sociologico in questa scelta, visto che il mio scopo è quello di andare oltre lo stereotipo rappresentando un universo al femminile da cui emerge una profonda sensibilità della donna.
Alberto Fiz:
Cosa intendi per “universo al femminile”?
Barbara Nahmad:
Intendo dire che le mie figure non cercano l’approvazione dell’occhio maschile. Esse sono e non si mostrano. Non hanno bisogno di esibirsi, in quanto appaiono perfettamente consapevoli del loro essere. Mi dà l’impressione che l’arte contemporanea, al di là delle apparenze, tema sempre più il corpo e rifugga dalla carne lasciandosi affascinare dalla sterilità rappresentata dalla tecnologia e dall’artificio. Questo emerge anche dall’immaginario di bellezza proposto dai media, dalla scelta delle top model o dalle vedette televisive. Si tende, insomma, ad una progressiva disincarnazione del reale facendo proprio un assunto virtuale che ha intaccato anche le relazioni interpersonali, tanto da renderle sempre più fredde, quasi si vivesse eternamente in una camera iperbarica. Io, attraverso la pittura, cerco di agire in maniera del tutto opposta recuperando il corpo nel suo aspetto gioioso come promessa di futuro, visto che il corpo della donna porta con sé la consapevolezza di una nuova vita.
Alberto Fiz:
Eppure le tue rappresentazioni non rinunciano a turbare lo sguardo e credo che questa sia la ragione per cui, spesso, a proposito del tuo lavoro, è stata evocata la pornografia.
Barbara Nahmad:
La pornografia è quell’elemento morboso che passa attraverso lo sguardo di chi legge le mie opere, ma non è una componente della rappresentazione. Questo equivoco, del resto, è calcolato e parte dalla consapevolezza che il corpo femminile diventa esso stesso oggetto di una percezione fortemente emotiva. E’ il nudo nella sua normalità che non viene accettato e rappresenta ancora un tabù nonostante la sua ostentata esibizione. Ti faccio un esempio. Di recente, un architetto in Cile ha realizzato un’abitazione completamente trasparente all’interno della quale doveva muoversi una donna assolutamente normale che avrebbe dovuto compiere, davanti a tutti, una serie di gesti quotidiani facendo la doccia, andando in bagno o spogliandosi prima di andare a dormire. Ebbene, nelle ore in cui la donna si alzava o andava a letto, si creavano veri e propri intasamenti di persone che si davano appuntamento davanti all’abitazione per vedere comportamenti del tutto simili a quelli che si ripetevano con monotonia in casa propria. Ecco, credo che questo atteggiamento non sia distante da quello che si prova nei confronti dei miei dipinti dove il voyeurismo s’insidia, anche senza volerlo, nella rappresentazione del quotidiano.
Alberto Fiz:
Al di là dell’aspetto percettivo, le tue opere tradiscono una partecipazione psicologica come se ogni volta fossi tu l’oggetto della rappresentazione. Anzi, sono convinto che la tua pittura nasconda una sottile componente autobiografica anche se questa è andata col tempo raffreddandosi attraverso un impianto pittorico sofisticato in cui le immagini dipinte a olio entrano in contrasto con il fondo monocromatico dipinto a smalto, creando un incontro- scontro tra universi contrapposti.
Barbara Nahmad:
È possibile che qualcosa di me venga trasportato nelle immagini dipinte. Del resto, la pittura è sempre una forma di autorappresentazione.
Alberto Fiz:
L’aspetto interessante della tua pittura è che i tuoi corpi parlano, esprimono dei sentimenti ed entrano in diretto contatto con lo spettatore. La mancanza del volto passa in secondo piano e, dopo qualche istante di osservazione, il corpo assume una sua unitarietà, un suo equilibrio indipendentemente dalla sfera psicologica. All’improvviso ci si accorge che esiste una nuova forma di comunicazione. Il corpo s’impone come presenza autonoma, autocosciente in grado di guidare lo sguardo, quasi fosse un lento movimento di macchina che si sofferma, di volta in volta, sulle natiche sui seni o sul ventre. Credo che tutto questo passi attraverso la pittura che consente di dare una presenza carnale ad una rappresentazione che potrebbe essere ottenuta tranquillamente con la fotografia. In questo caso, la tua ricerca obbliga a interrogarci sulla natura del mezzo artistico dimostrando lo specifico della tecnica pittorica che ha una componente “calda” che non appartiene al mezzo fotografico.
Barbara Nahmad:
Sono una pittrice e, come tale, riconosco l’aspetto emotivo della rappresentazione, conscia che la fotografia non potrà mai raggiungere il grado d’intimità proprio della pittura. Se il taglio dell’immagine è di carattere fotografico, nel mio lavoro esiste la necessità di creare un rapporto per così dire intimo con lo spettatore e per questo uso la materia e il colore.
Alberto Fiz:
Messo da parte l’aspetto contenutistico, la tua pittura ha una sensualità intrinseca che passa attraverso una pennellata voluttuosa, che consente un riscatto della rappresentazione accentuando la differenza tra il frammento da cui parti e il dipinto che realizzi. Ancor più della ricerca della verità, c’è, a mio avviso, un piacere infinito nel descrivere le forme. Ma cosa cerchi davvero?
Barbara Nahmad:
Cerco l’unità del corpo al di là del suo aspetto frammentario. Cerco di arrivare al vero ma non ci riesco.
Alberto Fiz:
Ma non credi che tutti questi non siano altro che espedienti?
Barbara Nahmad:
Forse. A pensarci bene ciò che m’interessa maggiormente dell’immagine sono i pieni e i vuoti, il rapporto tra l’oggetto e lo spazio circostante, inteso come dimensione destinata ad aprire una nuova sfera dell’immaginario, dove l’equilibrio avviene sviluppando una dinamica tra gli opposti. La mia pittura, infatti, nasce dalla relazione dialettica esistente tra lo smalto utilizzato per realizzare i fondi e la tecnica a olio delle figure. Due modi di dipingere molto diversi che si rifanno da un lato alla tradizione classica e, dall’altra, all’inquietudine della contemporaneità, visto che lo smalto consente un raffreddamento progressivo della pittura dando all’insieme un’apparenza caotica e artificiale. Non vorrei essere presuntuosa, ma, in definitiva, il mio autentico interesse è la sfida ai modelli classici attraverso una ricerca che si pone come scopo ultimo quello di far emergere una nuova percezione della figura. Mi piace mescolare le carte facendo convivere Dante Gabriele Rossetti con Jim Dine e Tiziano con Lucian Freud. Quelle che rappresento, insomma, sono Veneri sì, ma con gli stracci.