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PITTURE DI SABBIA

di Vittoria Coen

……….”Sembrava che l’arido paesaggio dei dintorni del Kibbutz non lo spaventasse, anzi a volte andava a passeggiare con Ya’el sulle colline, e pareva che amasse molto contemplare quel panorama desertico”… AbrahamYehoshua Fin dal periodo in cui Barbara Nahmad ritraeva vere e proprie icone della cultura e della storia, insieme ai divi del cinema internazionale, l’artista ha lavorato sull’analisi profonda dei soggetti, da un punto di vista estetico, ma anche e soprattutto psicologico. Per far questo è partita dalla fotografia (da riviste recenti e non) che ha saputo rianimare con il gesto della pittura. L’indagine più profonda di un soggetto, dunque, è stata scavata dal pennello con il risultato di una rinnovata vitalità in una memoria evergreen. In occasione della sua personale intitolata Canto General, infatti, scrissi:“Barbara Nahmad non si sottrae ai suoi obblighi. Fa vivere i suoi personaggi come se fossero tutti vivi e presenti. Ma ne coglie la profondità a partire dalle pagine di un rotocalco”. Pier Paolo Pasolini, Primo Levi, ma anche Mao, Elvis Presley, e la inossidabile Marilyn , negli sguardi dell’artista, si sono liberati dalla storica rivisitazione Pop e hanno ripreso corpo.Ritornano, cioè, a vivere, mentre l’artista li ha sottratti alla polvere del tempo. L’audacia cromatica del fondo ha fatto la sua parte, rendendo vivi e prepotentemente interessanti i volti, gli sguardi, il vissuto personale. Mi viene da pensare che tutta l’esperienza artistica di Barbara Nahmad, fini qui portata avanti, sia stata concepita sul filo rosso della memoria. Il suo appare metaforicamente come un lavoro corale, a più voci. Il soggetto è stato fotografato, cioè vi è già il filtro dell’interpretazione altrui…Poi entra in campo l’artista, con il doppio occhio della distanza e nello stesso tempo della riappropriazione. Nahmad, anche in questa mostra Eden, paradiso perduto e ritrovato, ricostruisce l’immagine che ha catturato la sua attenzione, questa volta legata al ritorno in Israele dopo la nascita del nuovo Stato, catturando, nel realismo del momento immortalato, tutta la grande pulsione a vivere e a costruire, mattone su mattone, fatica dopo fatica, una vita.Lo fa raccontando le sue origini, la sua famiglia, il padre, la madre, il nonno…accanto a uomini, donne, bambini e vecchi sconosciuti, ma accomunati dalle medesime aspettative. La vita semplice, ma faticosa, modesta e grandiosa, i sorrisi, i gesti, le piccole abitudini, il mondo dell’infanzia, l’amore di una coppia, l’amore per la terra nuova, la vita e i giorni. E’ l’artista stessa che risponde, in un’intervista di qualche tempo fa su ArtsLife fattale da Cristiana Curti,: … “Ho cominciato a “sottrarre”, alla ricerca di una pulizia e di un’essenzialità di cui avevo bisogno: ho rinunciato allo smalto, che connotava la mia cifra artistica. Ho sottratto la pulizia del segno, che era l’altro mio atòut. Ho sottratto l’incisività della forma perfetta. Ho rarefatto i soggetti, ho alleggerito la tela, che era diventata ridondante. Ho reso però più complessa e articolata la scena, perché ora parto da vecchie riviste diffuse dallo Stato d’Israele negli anni ’50 per promuovere l’immigrazione di nuove famiglie.” Barbara Nahmad arriva a questa importante esperienza nata da una mostra a Tel Aviv, proseguita a Milano ed ora qui a Bologna, dopo molteplici ricerche legate a temi anche molto diversi tra i quali mi piace ricordare gli interventi realizzatinella installazione Allarmi, Le tavole della protesta…..Reportage tradotti in una poetica. Poi, dai ritratti di star del cinema e protagonisti della storia e della cultura arrivati a noi attraverso la carta stampata e la televisione, in questo Eden appaiono i volti noti all’artista e gli sconosciuti apparsi nelle pagine dei giornali come protagonisti di frammenti di una nuova vita. Ed anche se noi non li conosciamo ci sembra di averli sempre visti, che abbiano fatto parte della nostra esistenza e della nostra memoria; acquistano una familiarità che ci sorprende, in modo semplice e immediato. Questa volta, però, i colori pantone, i rossi e i verdi degli sfondi, hanno ceduto il posto ad un ocra dominante, talvolta interrotto da bianchi e da neri, specialmente nella deliziosa serie di piccoli cartoni composti appositamente per questa occasione museale, che ho potuto vedere qualche giorno fa nel suo studio sui Navigli. La pittura si conserva in tutta la sua pienezza, ma in una dimensione di effetto monocromo da cui nascono dipinti che sembrano di sabbia. Le immagini sono raccolte in frammenti, a cui l’artista applica piccole perle di una collana a lei cara, della sua infanzia. Pittura, segni, sovrapposizioni, rendono questi piccoli lavori veramente vissuti, abitati, come gli antichi gioielli di famiglia conservati in uno scrigno. L’impressione è che qui il colore non “serva” ad evidenziare, piuttosto ad avvolgere amorevolmente gli sguardi e i destini nei quali vediamo esperienze vissute che la storia ha generato.I bambini giocano, vanno a scuola, l’anziano seduto appoggia la fronte alla propria mano, e ancora, ragazzini su un blindato, ragazze in posa come modelle, abbracci materni e uomini al lavoro…sono solo alcune delle istantanee in cui il fondo è sospeso, appena suggeriti i soggetti: mobili, blindati, lavabi e paesaggi sono disegnati con un tratto quasi infantile . La storia e la cronaca sullo sfondo, quel che conta veramente è l’umanità, tutta concentrata nella costruzione di uno stato attraverso la mobilitazione collettiva. Le immagini raccontate da Nahmad sono ricche di partecipazione, sono evocative e realistiche al tempo stesso. Il fascino degli ocra e dei grigi, di ombre e di improvvisi guizzi di luce valorizza l’intensità di un vissuto attraverso la varietà dei volti, delle espressioni nella fatica, a volte nelle privazioni di una vita spartana ma incredibilmente proiettata verso il futuro. Vi è una comprensibile bellezza in tutto questo, ben se ne percepisce il significato, anche per chi non l’ha vissuto direttamente. L’artista ha il compito della messa a fuoco, nei dettagli, nelle pose, quando vi sono, al contrario, nella spontaneità di determinati gesti e sorrisi in misura uguale presenti. E come ha detto Barbara Nahmad il gesto di sottrazione, il mistero, fanno affiorare i segni dal nulla, mentre le ombre dei corpi sono ben delineate sul terreno; si crea una suggestione particolare in cui la relazione tra tempo e spazio costituisce la svolta nel suo lavoro. L’avventura del cambiamento, pur nella coerenza di uno stile, rappresenta una crescita, un arricchimento ulteriore in una poetica già complessa e fortemente articolata. Nahmad, donna e artista del suo tempo, ha studiato e approfondito molto il mondo e il tempo che narra, in un certo senso ne ha ripercorso i passi per una ricostruzione di indiscutibile onestà intellettuale. Di questo le va dato il merito, cioè, di aver fatto dell’arte, insieme con la storia, la “politica”, il pensiero, la summa di un lavoro che vive, respira, parla, e che rifiuta le generalizzazioni e la superficialità dei luoghi comuni dai quali rifugge con decisione.

 



di Vincenza Maugeri, Direttore, Museo Ebraico di Bologna


Il Museo Ebraico di Bologna (MEB), che ha ormai assunto la connotazione di centro culturale vivo e teso a far conoscere e divulgare aspetti della vita, della storia e della cultura ebraica a un pubblico il più vasto possibile, propone anche mostre temporanee di particolare significato. Ed è per questo che il Museo è particolarmente orgoglioso di ospitare i lavori della nota artista Barbara Nahmad. La mostra EDEN raggiunge Bologna dopo Tel Aviv, Como e Milano, e sarà l’evento della Notte Europea dei Musei, che, ormai da anni, rappresenta un appuntamento di grande rilevanza nella programmazione primaverile del MEB. EDEN traccia il periodo dei primi anni Cinquanta in Israele e invita con delicatezza i visitatori ad un’osservazione priva di pregiudizi di un momento storico poco conosciuto. Barbara Nahmad sceglie, infatti, di cogliere e presentare nelle sue opere momenti di vita quotidiana nelle città, scuole, strade, kibbutz ai margini del deserto, accostandole ad immagini più intime di un mondo che era – a tutti gli effetti – molto giovane. L’Israele di quei tempi, fu un mondo pieno di giovani, di ragazzini scalzi, a scuola o intenti a giocare per strada, sulla sabbia, nel deserto, emblemi di pura vita e immaginazione. Un mondo in cui tutto era nuovo. Trentacinque opere, alcune di grandi dimensioni, dalle quali emerge con forza il personalissimo e suggestivo stile della Nahmad, una pittura evocativa che concede molto alla morbidezza delle forme, senza alcuna insistenza iperrealistica. “Pitture di sabbia”: preziosa la definizione che ne dà Vittoria Coen nel suo bel saggio di presentazione nel catalogo; ma si potrebbe anche vederle come opere di un “percorso del cuore”, poiché l’artista coglie suggestioni tra vecchi libri e ricordi, foto di famiglia e rotocalchi di quei tempi così pionieristici, con sguardi a volte languidi, ma più spesso di grande realismo. Auspichiamo che questa mostra possa essere, oltre che una esperienza estetica, anche uno spazio di riflessione sulla storia, di esperienza conoscitiva di questioni complesse, capace di porre l’accento anche su collegamenti inaspettati.

 
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